Arte Communications - 2015

Angeli, Angoli e Ombre

Marco Mioli

Mats_Bergquist_thumb_large500_3

Non tutto è spiegabile a parole, questa affermazione è tanto banale quanto vera.

Esiste tuttavia un punto in cui dire una parola equivale a sottrarre infinite possibilità espressive. Un parola in più, che dice, chiude inesorabile qualsiasi altra apertura al possibile. Parlando con Mats Bergquist, la parola si ferma, per rispetto di un “altro”, non conoscibile ma che in qualche modo ci sembra famigliare, ci attira a sé.
Sono pochi gli elementi messi in gioco nei lavori di Bergquist e come le parole sottratte durante le conversazioni con l’artista, la continua sottrazione di elementi mette in scena una materia vasta, dove regna il silenzio.

Scrivere dei lavori di Bergquist è come pronunciare una parola, un’unica parola che racchiude il tutto, una parola spesso ricercata, di cui non si sa molto. Eppure tutto sembra portare li, in un altrove, di cui, qui ed ora in terra, non rimangono che pochi segni, algidi telai di legno, chiavi, tavole, pigmenti.

Appena entrato nel luogo dove erano esposti alcuni lavori di Bergquist ho percepito un profumo di tavole di legno e colore, un profumo antico che non riuscivo ancora a coniugare con la rigida geometria dei lavori. Era il profumo che già sentii un tempo, un profumo di antico, avvolto da un perenne silenzio. Era il profumo delle icone, di cui percepivo il senso, come se, sottratto ogni elemento figurativo e allegorico ne rimanesse solo il dialogo eterno con l’aldilà, con uno spazio altro. Sottratto tutto, rimane solo una esile forma di dialogo, di affetto, verso un qualcosa di cui non conosciamo il nome.

E in questo dialogo vedo riaffiorare un presenza inaspettata che non trova spazio nelle icone classiche. In alcune culture dell’Africa subsahariana le persone non escono dalla loro abitazione quando il sole è sullo zenit in quanto il loro corpo non proietta ombra. Allo stesso modo nell’icona non esiste ombra in quanto nel regno dei cieli, un luogo immateriale e metafisico non possono esserci ombre, ma solo luce.
E’ l’ombra, l’elemento che più di ogni altro rappresenta la solidità della materia, la manifestazione umana in contrasto con la manifestazione divina, che ora riaffiora delicatissima nelle opere di Bergquist. E’ l’ombra di cui sentivo la mancanza, un’ombra che ora viene svelata innanzi a me con una delicatezza e un rispetto commoventi.

Mats Bergquist manipola la geometria e la geometria si fa strumento religioso di indagine. E’ un dialogo che si spinge su un terreno di mezzo tra il di qua e il di là, come il raccordo nelle basiliche bizantine tra la cupola rotonda e il basamento quadrato, un problema architettonico e dunque teologico. Nello spazio risultante, nasce una figura di raccordo; in quell’angolo, ha sede nella iconografia bizantina e cristiana l’angelo, la figura di mezzo tra il cielo, il cerchio, e la terra, il quadrato.

I costruttori bizantini coniugarono queste due forme e nel loro raccordo crearono uno spazio fisico per gli angeli, diedero forma ad una immaterialità spostando di quel poco il limite del conoscibile. Sarà per questo che fin dall’origine la parola angelo e angolo hanno la stessa radice, come se dal principio del verbo fosse implicita nella geometria una forma conoscitiva.

Contact me